LA ZAMPA.IT
14 DICEMBRE 2008
Caccia al serial killer degli orsi marsicani
Un altro animale ucciso con il veleno. La Forestale: test del Dna per fermare la strage
GUIDO RUOTOLO
PESCASSEROLI (AQ) - Passeranno ancora alcuni giorni prima di avere una risposta sulle cause della morte della vittima, un orso marsicano adulto, avvenuta sabato scorso a Corvaro di Borgorose, Rieti, nella riserva naturale «Montagne della Duchessa». Difficile credere a un suicidio o a uno scatto di follia. Non si può sostenere neppure che la vittima fosse inesperta, insomma che non conoscesse il territorio quando è scesa a valle da un pendio di mille metri, terminando la sua corsa senza procurarsi neppure una ferita esterna.
E allora il sospetto è che la morte sia stata provocata molto probabilmente da una polpetta avvelenata, insomma da un esca innaffiata di veleno. Sospetto, quest’ultimo, avvalorato dalla stessa «scena del crimine». Gli investigatori della Forestale hanno ricostruito le ultime quarantott’ore di vita della vittima individuando le impronte lasciate sul terreno e repertando e spedendo ai laboratori persino campioni della sua urina. Le associazioni ambientaliste hanno subito denunciato l’«omicidio» per avvelenamento della vittima: «E’ l’ottavo orso marsicano morto negli ultimi 18 mesi». Una strage, un tentativo di sterminio se consideriamo che gli orsi marsicani che vivono in libertà sono tra i cinquanta e i sessanta esemplari (negli ultimi mesi sono nati una decina di cuccioli). «L’orso ritrovato sabato scorso deve aver mangiato qualcosa che ha provocato la sua morte - sospettano gli investigatori della Forestale -. Per il momento non abbiamo trovato altre carcasse di animali morti e, dunque, da questo punto di vista possiamo tirare un sospiro di sollievo. L’esca avvelenata potrebbe rientrare all’interno di una faida tra cacciatori di cinghiali o tartufai. Gli allevamenti della zona non hanno infatti registrato attacchi di orsi o di animali predatori».
Altra storia rispetto a quella di un anno fa quando, a una settantina di chilometri dalle «Montagne della Duchessa», fra il 30 settembre e il 2 ottobre furono trovati alle pendici del monte di Valle Caprara, nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, tre orsi morti: Bernardo, un orso bruno marsicano adulto, una femmina e un cucciolo di un anno e mezzo. E poi cinque lupi e una quindicina di cinghiali.
Povero Bernardo. Agli atti delle indagini coordinate dalla Procura di Avezzano c’è la ricostruzione della sua agonia. Bernardo faceva parte di quel gruppo di cinque orsi marsicani costantemente «monitorati» con un radiocollare dai ricercatori dell’università La Sapienza di Roma. E la sua agonia è stata documentata: Bernardo mangia l’esca avvelenata, una capra innaffiata con un prodotto fitosanitario della Bayer che viene utilizzato negli uliveti (e ulivi nella zona non ce ne sono). Muove i primi passi. Vomita. Arranca, tenta di salire nel bosco. Si accascia, gli arti man mano si paralizzano. La testa oscilla. E’ come vedere e sentire il suo lamento, il dolore lancinante. Poi nulla più. Un’agonia durata tre giorni.
In quelle ore si gridò a una strage di tipo eversiva, una manifestazione di ribellione al Parco e alle sue regole. E partì una caccia mai vista prima per scoprire mandanti ed esecutori della strage. Pattuglie miste di Forestali, guardie del Parco e ricercatori del Dipartimento di Biologia animale setacciarono una estesa area di circa 26 chilometri quadrati.
Analisi di laboratorio approfondite - si è scoperto così che i cinghiali sono morti per un virus -, investigazioni, intercettazioni telefoniche, perquisizioni in abitazioni e in una decina di allevamenti di pecore e capre. Cinque allevatori sono finiti sul registro degli indagati. Ancora oggi, la Procura di Avezzano ha ottenuto la proroga delle indagini. Si aspettano i risultati dei laboratori sui Dna. Quelli delle esche, probabilmente due capre, quelle dei campioni di ovini e caprini prelevati in una decina di allevamenti.
«Se dovessero corrispondere i profili di Dna - spiega un investigatore della Forestale - avremo la certezza che l’assassino ha utilizzato una capra di quel tal allevamento. E’ già qualcosa. Ma è un elemento che da solo non porta da nessuna parte. Abbiamo indizi chiari ma ancora nessuna pistola fumante in grado di individuare con certezza il colpevole».
Bella inchiesta, quella della Procura di Avezzano. Che non ha risparmiato nulla. A partire dall’individuazione del veleno utilizzato, il «Lebaycid», il cui principio attivo, il Fenthion, è stato ritrovato negli stomaci degli orsi avvelenati. E’ un prodotto della Bayer che si può vendere solo a chi ha il patentino. Si è ricostruita la filiera della distribuzione, si sono individuati decine di acquirenti. E decine di persone sono state interrogate. Ma un anno dopo, non ci sono certezze sugli assassini di Bernardo e degli altri due orsi. Intanto ieri, sempre in Abruzzo, alla periferia di Tagliacozzo, è stato ritrovato morto un lupo, centrato da un pallettone che si usa nella caccia al cinghiale. «Un omicidio dimostrativo - è la tesi della Forestale -, è stato eliminato in montagna e trascinato a valle».
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