Si chiama Raggio Verde, è un reparto riserervato a loro, agli \"ergastolani\" del canile di via Germagnano. Troppo pericolosi per essere adottati da una famiglia e nessuna speranza di lasciare le gabbie. Sopprimerli o continuare a curarli? Si apre un caso.
In fondo a destra c´è il Raggio Verde, come lo chiamano tra esorcismo e ironia quelli che lavorano al Canile sanitario municipale di via Germagnano. Sei gabbie, oppure sei celle, sei condannati. Non a morte, che dal 1999 a oggi soltanto due cani sono stati soppressi dopo lunga e sofferta decisione. Ma all´ergastolo quasi certamente sì. Chi libererebbe Boing, un rotweiler maschio che quando ti vede si scaglia contro la rete? Chi vorrebbe carezzare Frango, il fila brasileiro trovato \"misteriosamente\" nel prato dell´Amiat, dove si dice che la mafia dei combattimenti abbandoni le sue vittime? E che speranze ci sono che Tango, un dogo argentino di 60 chili, tutto muscoli e denti scoperti che si è meritato due bollini rossi sulla scheda appesa alla gabbia e un cartello \"uscita consentita solo con operatori specializzati\" possa mai entrare in una casa torinese? C´è chi ama questi cani, proprio come nei film dove preti, pastori e psicologi tentano fino all´ultimo di parlare con i serial killer o gli psicopatici alla Anthony Hopkins, con la differenza che nessuno di questi animali ha una 'colpa´.
«Ogni tanto - scherza Valeria Bosco, una bella signora bionda che a casa si è portata tre gatti e un cane, il \"cattivissimo\" Merlino, responsabile del canile - mi sento come il governatore del Texas, quello che deve decidere sulla vita e sulla morte dei \"criminali\" più pericolosi. Soffro, e mi viene da pensare che agli uomini che commettono i peggiori delitti si cercano comunque le attenuanti, e a questi animali nessuna…». Solo Kefren e Bob sono finiti davvero nel raggio della morte, in dieci anni, dopo che la Commissione scientifica ha decretato che per loro non c´era, davvero, più niente da fare. Gli altri vanno avanti, nella gabbia che assomiglia a quella del vecchio Zoo di parco Michelotti: un comando esterno consente di separare con una rete robusta l´interno dal recinto all´aria aperta, il cibo può essere passato da uno sportello, il cappio rigido, quando serve, consente di spostare i cani che non si lasciano avvicinare. «Un cane - spiega Giuseppe Portolese, il dirigente comunale del settore - appartiene comunque al suo proprietario e non può essere abbattuto se non è lui a deciderlo.
Qui teniamo quelli ritrovati o che i padroni non vogliono più tenere». Mantenere i canili, quello di via Germagnano e quello nuovo e moderno di strada Cuorgné, dove le famigliole vanno a cercare un cucciolo peloso e grassottello per Natale, costa alla città 1,3 milioni di euro all´anno: dentro ci sono anche i soldi per una pensione privata di Moncalieri, una sorta di \"manicomio giudiziale\" dove vivono cani ancora più irrecuperabili, e quelli per la clinica dove si curano gli animali malati. «A volte - confessa Stefano Lo Russo (Pd), consigliere comunale, vicepresidente della Commissione ambiente - mi chiedo se davvero stiamo rendendo un servizio a questi animali, o se mantenerli non è soltanto l´obolo che paghiamo alla nostra coscienza \"politicamente corretta\". Al centro delle politiche in questo campo dovrebbe esserci il loro benessere, è davvero così?». La risposta, indiretta, arriva da Tiziana Berno, che guida i volontari dell´Enpa: «Una grande comportamentista inglese, Angela Stockdale, è venuta a trovarci. Ci ha detto che questo canile è \"no stress\", che i cani non sono infelici. Per noi, è questo che conta».
In fondo a destra c´è il Raggio Verde, come lo chiamano tra esorcismo e ironia quelli che lavorano al Canile sanitario municipale di via Germagnano. Sei gabbie, oppure sei celle, sei condannati. Non a morte, che dal 1999 a oggi soltanto due cani sono stati soppressi dopo lunga e sofferta decisione. Ma all´ergastolo quasi certamente sì. Chi libererebbe Boing, un rotweiler maschio che quando ti vede si scaglia contro la rete? Chi vorrebbe carezzare Frango, il fila brasileiro trovato \"misteriosamente\" nel prato dell´Amiat, dove si dice che la mafia dei combattimenti abbandoni le sue vittime? E che speranze ci sono che Tango, un dogo argentino di 60 chili, tutto muscoli e denti scoperti che si è meritato due bollini rossi sulla scheda appesa alla gabbia e un cartello \"uscita consentita solo con operatori specializzati\" possa mai entrare in una casa torinese? C´è chi ama questi cani, proprio come nei film dove preti, pastori e psicologi tentano fino all´ultimo di parlare con i serial killer o gli psicopatici alla Anthony Hopkins, con la differenza che nessuno di questi animali ha una 'colpa´.
«Ogni tanto - scherza Valeria Bosco, una bella signora bionda che a casa si è portata tre gatti e un cane, il \"cattivissimo\" Merlino, responsabile del canile - mi sento come il governatore del Texas, quello che deve decidere sulla vita e sulla morte dei \"criminali\" più pericolosi. Soffro, e mi viene da pensare che agli uomini che commettono i peggiori delitti si cercano comunque le attenuanti, e a questi animali nessuna…». Solo Kefren e Bob sono finiti davvero nel raggio della morte, in dieci anni, dopo che la Commissione scientifica ha decretato che per loro non c´era, davvero, più niente da fare. Gli altri vanno avanti, nella gabbia che assomiglia a quella del vecchio Zoo di parco Michelotti: un comando esterno consente di separare con una rete robusta l´interno dal recinto all´aria aperta, il cibo può essere passato da uno sportello, il cappio rigido, quando serve, consente di spostare i cani che non si lasciano avvicinare. «Un cane - spiega Giuseppe Portolese, il dirigente comunale del settore - appartiene comunque al suo proprietario e non può essere abbattuto se non è lui a deciderlo.
Qui teniamo quelli ritrovati o che i padroni non vogliono più tenere». Mantenere i canili, quello di via Germagnano e quello nuovo e moderno di strada Cuorgné, dove le famigliole vanno a cercare un cucciolo peloso e grassottello per Natale, costa alla città 1,3 milioni di euro all´anno: dentro ci sono anche i soldi per una pensione privata di Moncalieri, una sorta di \"manicomio giudiziale\" dove vivono cani ancora più irrecuperabili, e quelli per la clinica dove si curano gli animali malati. «A volte - confessa Stefano Lo Russo (Pd), consigliere comunale, vicepresidente della Commissione ambiente - mi chiedo se davvero stiamo rendendo un servizio a questi animali, o se mantenerli non è soltanto l´obolo che paghiamo alla nostra coscienza \"politicamente corretta\". Al centro delle politiche in questo campo dovrebbe esserci il loro benessere, è davvero così?». La risposta, indiretta, arriva da Tiziana Berno, che guida i volontari dell´Enpa: «Una grande comportamentista inglese, Angela Stockdale, è venuta a trovarci. Ci ha detto che questo canile è \"no stress\", che i cani non sono infelici. Per noi, è questo che conta».
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