Cattiveria e crudeltà delle anime nere di tutta Italia

In questo blog potrai leggere e vedere le immagini della crudeltà e della cattiveria umana .
Da Nord a Sud, isole comprese, una passerella di azioni vergognose, criminali, inumane, un repertorio di incuria, freddezza, avidità e ruberia.
La bassezza d'animo dell'essere umano viene portata alla luce.
Tutto compiuto contro creature deboli ed indifese, senza tutela reale e spesso ridotte senza dignità.
Quando decidi di andare in vacanza, scegli il tuo luogo di villeggiatura anche con questo parametro :
chi abita in questo posto ?

Al cuore del problema

Ogni anno migliaia di cani vengono introdotti nei canili esistenti nel nostro Paese. Nei canili migliori solo alcuni riacquistano dignità attraverso l'adozione. In altri li aspettano malattie, sbranamenti o comunque la fine naturale della vita trascorsa dietro le sbarre. Il tutto con costi altissimi per le amministrazioni. Aiutateci a dire basta. Il fenomeno del randagismo si può controllare e sconfiggere.


COSA DICE LA LEGGE:
Secondo la normativa vigente i sindaci sono responsabili per i cani vaganti nel territorio del Comune che amministrano.

Al fine di curare i cani presenti nel suo territorio, i Comuni ricevono finanziamenti da parte dello Stato centrale (pagati da noi cittadini mediante le tasse) per cui gli stessi sono tenuti a predisporre le strutture per risolvere il problema del randagismo e a finanziarle con i denari a ciò destinati.


LA SOLUZIONE MIGLIORE:
Le Associazioni senza scopo di lucro costituiscono i migliori soggetti per la gestione del canile in quanto, agendo senza scopo di lucro, danno maggiori garanzie sul fatto che i denari ad esse corrisposti dal Comune siano effettivamente destinati alla migliore cura del cane.


QUELLO CHE ACCADE NORMALMENTE:
L'affidamento ai gestori privati è invece assai pericoloso in quanto gran parte degli stessi sono tentati dal non garantire buone condizioni di vita o la stessa sopravvivenza dei cani ospitati nel canile al fine di massimizzare i guadagni.

A mero titolo di esempio, vi segnaliamo che sono numerosi i Comuni che hanno stipulato convenzioni con gestori privati per l'affidamento agli stessi della gestione dei canili a seguito di gare di appalto vinte con aste fortemente al ribasso. Sono numerosi gli esempi di gestori che hanno vinto con offerte che prevedano il mantenimento del cane per soli 70 centesimi di euro al giorno! 70 centesimi con cui il gestore dovrebbe pagare il cibo per il cane, le cure mediche, parte delle spese di gestione (operai, luce, acqua etc.) e, addirittura, ricavarci qualcosa per vivere.

Appare del tutto evidente, quindi, che in tali casi il benessere del cane non potrà di certo essere garantito.


IL BUSINESS DEL RANDAGISMO: 500 MILIONI DI EURO ALL'ANNO
Parecchi imprenditori privati hanno nella gestione dei canili una vera miniera d'oro. Si tratta spesso di delinquenti o persone senza scrupoli capaci di creare importanti connivenze con istituzioni che dovrebbero controllare.

Il business del randagismo in Italia genera un fatturato annuale di circa 500 milioni di Euro. 500 milioni di euro pagati dai contribuenti che spesso sono oggetto di vere e proprie truffe da parte dei gestori ai danni dei Comuni e, quindi, di chi paga le tasse.


IL CUORE DEL PROBLEMA:
Nella maggioranza dei Comuni poi la domanda d'ingresso dei cani supera largamente l'offerta di posti in canile, con la conseguenza che per ogni cane morto o fatto adottare, sono pronte altre due richieste di accalappiamento e che chi volesse speculare riesce a percepire sempre e comunque il suo guadagno su un numero garantito di cani. Alla minima spesa sul singolo animale corrisponde il massimo guadagno in termini di utile.

Così che si assiste spesso ad insufficienza di personale, mancanza di lavoratori qualificati, minimi spazi nei box, in cui i cani superano il numero di 3 animali, arrivando anche ad essere 15 o più, senza tenere in alcun conto la loro compatibilità (la prima causa di morte in canile è lo sbranamento!!!!).

Per non parlare delle speculazioni che si realizzano attraverso l'accalappiamento degli animali e lo smaltimento delle loro carcasse che crea un circolo vizioso per cui prima muore un cane prima si guadagna sullo smaltimento della sua carcassa e sull'accalappiamento del nuovo cane che lo sostituisce.


LA CONNIVENZA:
Altro fenomeno che acuisce il problema è la forte connivenza tra chi dovrebbe controllare e chi è controllato. Accade sovente nei Comuni più piccoli (ma non solo) che il Sindaco (che affida la gestione del canile), i responsabili della ASL (preposti al controllo) e il gestore del canile (colui che dovrebbe essere controllato) siano amici, compagni di merende o, addirittura, parenti.

Appare evidente come in queste situazioni sia realmente impossibile far rispettare la legge e far garantire il benessere dei cani ospitati nei canili.


LA SOLUZIONE:
Ciò non accadrebbe se i Comuni provvedessero come per legge alla costruzione e risanamento delle proprie strutture e soprattutto ne affidassero la gestione ad Associazioni di volontariato senza scopo di lucro, che diano garanzie di controllo, di apertura al pubblico e di trattamento secondo parametri di benessere misurabili molto elevati.

L'ACL – Associazione Canili Lazio Onlus da anni combatte il fenomeno del randagismo. Perché il canile deve essere un punto di partenza per una nuova vita alla quale arrivare attraverso l'adozione e non un punto di arrivo in cui morire.

Abbandono : condanna a morte

Abbandono  : condanna a morte

domenica 13 dicembre 2009

Capodogli sulla spiaggia pugliese "Colpa dell'uomo"

 

LA ZAMPA.IT
12 DICEMBRE 2009
 
Capodogli sulla spiaggia pugliese "Colpa dell'uomo"
 
Un evento "eccezionale", quello dello spiaggiamento di sette capodogli (inizialmente nove, ma due sarebbero riusciti a riprendere il largo) lungo il litorale del Gargano, in località Foce di Varano, in Puglia. Un evento che ha un precedente soltanto nell'Ottocento e che potrebbe avere, in questo caso, alla base delle "cause umane" da rintracciare soprattutto nell'inquinamento chimico ed elettromagnetico, come attività di ricerca o estrattive di idrocarburi oppure l'utilizzo di sonar per la navigazione. Il ministero dell'Ambiente ha subito allertato l'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e la guardia costiera spiegando che la zona è sotto il monitoraggio di una motovedetta. A sentire il responsabile scientifico del Wwf, Fabrizio Bulgarini, «le cause, non ancora definibili, sono al 99% umane: in particolare da rintracciarsi nell'inquinamento chimico o elettromagnetico», anche perchè è «un evento raro per esemplari adulti, tutti attorno alle 15 tonnellate di peso».Ancora da accertare cosa abbia provocato lo spiaggiamento di questi animali, ma Bulgarini ipotizza che possa essere colpa «dell'inquinamento chimico-tossicologico e di quello elettromagnetico; in particolare, questi animali subiscono delle interferenze dai sonar usati dalle imbarcazioni per la navigazione». Secondo alcune ipotesi allo studio (anche perchè non si ha una conoscenza approfondita delle rotte di questi animali), spiega Bulgarini, i sonar provocano «disorientamento o addirittura possono danneggiare il sistema» di movimento in acqua di questa specie. E, anche Giuseppe Notarbartolo di Sciara, presidente del Comitato scientifico di Accobams, parla della presenza in mare di suoni ad altissima intensità oppure della «presenza di attività navali o di ricerca di idrocarburi, in particolare di gas e petrolio». Secondo l'esperto, è «difficile che a uccidere i capodogli sia stata una causa naturale, altrimenti l'evento sarebbe più frequente e non accadrebbe con la frequenza di uno ogni due secoli: «È un evento eccezionale - spiega - e si va nell'ordine dei secoli: gli ultimi spiaggiamenti in massa risalgono all'800».
 
FOTO

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
12 DICEMBRE 2009
 
6 capodogli morti e uno in agonia Gargano il cimitero dei "moby dick"
 
 
di MARISA INGROSSO
 
BARI – Tra stanotte e stamattina sono morto altri due dei sette capodogli che, giovedì, si sono spiaggiati sulla costa di Foce Varano, nel Gargano. Ne rimane in vita soltanto uno ma è agonizzante e, secondo gli esperti, nulla si può fare per salvarlo. Intanto, non trova ancora riscontri la notizia (riferita ieri sera da alcuni pescatori) che altri due cetacei si sono spiaggiati a un paio di chilometri dall'arenile-cimitero di Foce Varano.
La notizia avrebbe, in effetti, i margini per essere credibile in quanto, ieri mattina, i cetacei in difficoltà non erano sette ma nove. Due, però, stando alle testimonianze, sarebbero riusciti a tornare in acque più profonde. Così, ieri sera una motovedetta ha tentato di verificare quanto sostenuto dai pescatori ma ha dovuto abbandonare le ricerche a causa del mare mosso e delle insidie di una navigazione notturna sotto costa. Questa mattina, a quanto reso noto, riprenderanno i controlli. Però, anche se venissero trovati in vita, c'è il rischio che non si possa aiutarli, così come s'è rimasti impotenti davanti alle sofferenze dei 
capodogli spiaggiati a Foce Varano. Tanto che questa mattina il lavoro del tavolo tecnico (con i biologi, l'assessore provinciale all'ambiente Stefano Pecorella, i sindaci di Cagnano Varano e Ischitella, i veterinari della Asl e Sandro Mazzariol, il coordinatore dell'equipe veterinaria di Padova che sta eseguendo un progetto sperimentale proprio sui cetacei) ha un unico punto all'ordine del giorno: risolvere il problema delle carcasse. L'idea è quella di interrare i cetacei in una cava nei pressi di Cagnano Varano dove si dovrebbero svolgere anche i rilievi per chiarire anche le cause dello spiaggiamento dei cetacei. Inoltre, una delle carcasse potrebbe essere prelevata dalla Fondazione cetacei e portata a Riccione per motivi di studio.
LA LENTA AGONIA DEI "MOBY DICK"
Una lenta consunzione per questi giganti del mare dal corpo enorme fatto per raggiungere gli abissi più profondi e che ora giacciono, inermi, a pelo d'acqua. Una condizione che espone i loro organi vitali a schiacciamento dovuto all'enorme peso. «Purtroppo - spiega il maresciallo Grassisi della Guardia Costiera di Vieste - non c'è soluzione. E' molto difficile intervenire, forse l'unica cosa che si potrà fare è non farli soffrire troppo a lungo. Comunque sul posto c'è il dott. Alessandro Bortolotto, che è responsabile nazionale del Centro studi cetacei, supportato da una nostra unità e dal comandante pro-tempore di Rodi Garganico, primo maresciallo Domenico Stefania». Nella caletta-cimitero ieri è giunto anche il prof. Nicola Zizzo (Facoltà di veterinaria, dell'Università di Bari) che spiega così le difficoltà che ci sono per riportare al largo le bestie spiaggiate: «Le condizioni del mare non sono ideali per fare arrivare la pilotina. Stiamo appunto valutando come trattare gli animali che agonizzano perché sono a pochi metri dalla battigia e, per trascinarli al largo, oltre che mezzi idonei, ci vogliono cautele sia per evitare che, trascinandoli, si provochino loro danni e sofferenze, sia perché dobbiamo assolutamente evitare che qualcuno degli operatori possa correre rischi. Sono pur sempre cetacei di circa 12 metri, peseranno venti tonnellate».Anche muovere le carcasse dei 6 capodogli morti sulla costa garganica è un problema: «Il Ministero dell'Ambiente - continua il professor Zizzo - ha allertato la prefettura di Foggia che, a sua volta, si è messa in contatto coi sindaci perché possano avere le autorizzazioni sia a operare, sia al recupero delle carcasse da parte dei vigili del fuoco. Le carcasse, infatti, dovranno essere trasporte in luoghi idonei per fare l'autopsia che sarà eseguita da me, dal dott. Troiano dell'Istituto  Zooprofilattico di Foggia e da un gruppo della Facoltà di veterinaria dell'Università di Padova».«L'intervento del Ministero è fondamentale - afferma Zizzo - perché i capodogli sono animali "cites" (dal nome della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione; ndr), cioè sono animali molto protetti». Insomma, quanto accade sulle coste pugliesi è qualcosa che sembra lasciare smarrite le istituzioni. Qualcosa di inaspettato, come confermano gli esperti. Secondo Marco Affronte (biologo marino e responsabile scientifico della Fondazione Cetacea onlus di Riccione), «si tratta di un evento eccezionale perché in Adriatico non è assolutamente frequente. Anzi, in Adriatico i capodogli capitano rarissimamente». E il prof. Zizzo: «Questo è un evento eccezionalissimo non è mai successo uno spiaggiamento di massa dei capodogli nel Mediterraneo. E' un evento mondiale».
COME AGIRE PER SALVARE I CETACEI? E COSA LI HA SPINTI A TERRA?
Ma cosa si può fare per salvare i capodogli superstiti? «Noi ci stiamo occupando proprio di questo - afferma Zizzo - ma non è semplice. Allo stato, siccome c'è mare grosso, le ondate li tengono bagnati e noi stessi tentiamo di bagnarli. Il protocollo internazionale per i grossi cetacei prevede di imbracare ogni animale completamente (e questo significa togliere tutta la sabbia che sta sotto al capodoglio), poi trascinarlo piano, piano, tenendolo minimamente sollevato, per portarlo al largo. Infatti, il problema è che il loro peso provoca lo schiacciamento dei polmoni e si ha una degenerazione di tutti i livelli vitali. Ma ci vorrebbero mezzi enormi, di quelli americani. In Europa non esiste niente di simile».Secondo la presidente dell'associazione ambientalista Marevivo, Rosalba Giugni, da una prima analisi gli esemplari spiaggiati non sembrano essere soggetti malati ma, per ogni valutazione, bisognerà attendere i risultati degli accertamenti affidati, tra gli altri, ad Sandro Mazzariol, dell'Università di Padova, che lavora al Progetto della Banca tessuti dei mammiferi marini, ed Alessandro Bortolotto, del Centro studi cetacei. «Resta da chiarire quali siano le probabili cause, che non saranno note – dichiara Giugni – fino al completamento delle analisi e dell'autopsia. In ogni caso, un evento molto grave che contribuisce ad impoverire la biodiversità del mare già pesantemente minacciata».
GLI ENTI COORDINANO GLI SFORZI
Ieri, in serata, l'assessore all'ambiente della provincia di Foggia, Stefano Pecorella, ha anche convocato una riunione tecnica cui hanno partecipato esperti di varie università, dell'Istituto Zooprofilattico di Foggia e del ministero dell'ambiente, rappresentanti dell'Ausl, della protezione civile, della guardia costiera, i sindaci dei comuni costieri interessati.
«E' stato fatto il punto degli interventi che si possono mettere in atto – ha detto l'assessore – e cercato di verificare se sia possibile l'accesso al mare di mezzi speciali per il recupero delle carcasse. Le difficoltà derivano dalle pessime condizioni del tempo e dal fatto che il tratto di costa è completamente sabbioso, così che è difficile far accedere al mare mezzi in grado di sollevare e trasportare animali del peso medio di 15 tonnellate ciascuno».
SONO PASSATI DUE GIORNI DALLA PRIMA SEGNALAZIONE
La prima segnalazione di avvistamento dei poveri cetacei è stata lanciata giovedì pomeriggio alle 15.30, quando gli uomini della Capitaneria di Porto di Vieste hanno allertato il Centro Nazionale Studi Cetacei e il servizio Veterinario. Stando alla ricostruzione, la segnalazione parlava di 3 cetacei spiaggiati e 6 molto prossimi alla zona di non ritorno, alla riva. 
Sempre, in base alle testimonianze raccolte, all'alba di ieri, tre capodogli erano già a riva, erano spacciati, due erano riusciti a tornare dove l'acqua è alta e 4 erano ad una quarantina di metri dalla riva. Forse si poteva tentare in quel momento di sbarrare loro la strada verso la morte. Evidentemente, non è stato possibile tenerli al largo. Lentamente, nella mattinata di ieri, esperti da tutta Italia sono confluiti nella zona e hanno fatto dozzine di riunioni per tentare di organizzare le procedure idonee per portare in salvo i tre cetacei che, pur spiaggiati, erano ancora in vita. Oltre a studiosi dell'università di Bari, come il prof. Nicola Zizzo, e esperti di cetacei dell'Università di Padova, anche altri volontari si sono mobilitati. Tra gli altri, Giovanni Furii, biologo che lavora al Centro di recupero tartarughe marine di Manfredonia, che ha cercato di raggiungere la zona via mare, ma è stato fermato a causa del forte vento. Anche Greenpeace Italia si è allertata.
Ma, alla fine, non s'è potuto fare nulla, se non vederli morire. Nel Mediterraneo, infatti, non esiste un coordinamento internazionale per salvare i grandi cetacei. Mancano i mezzi per trascinarli via dalle secche in sicurezza. E, soprattutto, manca una piscina idonea in cui portarli per dare loro il tempo di recuperare le forze e l'equilibrio. Senza questi giorni di recupero in ambiente protetto - spiegano gli esperti - ove anche si fosse riusciti a portarli al largo, c'era il rischio concreto di ritrovarseli spiaggiati un po' più in là.

L'ARENA DI VERONA
12 DICEMBRE 2009
 
DRAMMA IN MARE. Esemplari da 10-12 metri
Balene spiaggiate sul Gargano,  sono morte tutte
Sette capodogli si sono arenati Vani i tentativi fatti per salvarli
 
 
 
Tutte e sette le balene spiaggiatesi l'altro ieri sera alla Foce di Capo Iale-Laguna di Varano in provincia di Vieste, sull'Adriatico pugliese, sono morte.
Gli animali deceduti misurano tra i 10 e i 12 metri: si tratta di un evento straordinario, non solo per l`Italia, ma unico probabilmente nel Mediterraneo.
Le cause dello spiaggiamento sono tutte da chiarire, e bisognerà aspettare i risultati delle analisi sui campioni e dell'autopsia.
«Si tratta di un disastro ambientale - spiega Greenpeace - considerato il basso tasso di natalità e la lenta maturazione, si tratta quindi di una grave perdita per la biodiversità marina».
Il ministero dell'Ambiente ha mobilitato l'Ispra, e sul posto sono accorsi ricercatori dell'Università di Padova, che lavorano al Progetto della Banca tessuti dei mammiferi marini, così come dell'Università di Pavia, e di Siena, incaricata di prelevare campioni tossicologici. Greenpeace denuncia la mancanza di meccanismi di soccorso ai cetacei in crisi.

LA ZAMPA.IT
12 DICEMBRE 2009
 
Sulla spiaggia di Vieste il cimitero di Moby Dick
Sette capidogli morti sulle coste pugliesi. E' la prima volta nei mari europei
 
 
 
 
CARLO GRANDE
 
 
Tanto è emozionante avvistarli in mare quanto angosciante vedere le loro carcasse agonizzare sull'arenile: nel tardo pomeriggio di ieri nove capodogli si sono «spiaggiati» alla Foce di Capo Iale (nella Laguna di Varano in provincia di Vieste, sull'adriatico pugliese): sette animali sono morti (tre sono rimasti a lungo coricati su un fianco in acque basse, a una ventina di metri dalla riva), mentre due di loro sembrano aver ripreso il largo. E' la prima volta che succede in Adriatico, dice la capitaneria di Porto di Vieste, con animali di queste dimensioni. Ed è la prima volta, spiegano gli esperti di «Marevivo», che a memoria d'uomo una cosa del genere avviene in Europa. E' comunque l'ennesimo segnale inquietante che arriva dal regno animale, proprio nei giorni in cui si discute di cambiamenti climatici e si stenta a prendere contromisure per evitare i disastri del riscaldamento globale. Il capodoglio (Physeter macrocephalus, non è da confondere con le balene, anche se appartengono entrambi all'ordine dei cetacei: ha i denti e non i fanoni, e appartiene quindi alla famiglia degli Odontoceti, come i delfini) è un animale protetto, la cui esistenza è costantemente minacciata. Gli esemplari pugliesi misurano dai sette ai dieci metri di lunghezza e pesano circa 15 tonnellate ciascuno. Da una prima analisi gli animali spiaggiati non sembrano avere malattie. Perché da ieri pomeriggio alle 18 la costa del Gargano (non lontano dal lago di Lesina) sia diventata un cimitero di cetacei resta dunque un mistero. Qualcuno dice che è colpa dell'onda d'urto legata agli scavi di un pozzo sottomarino, altri dicono che i capodogli avrebbero perso l'orientamento finendo sulle spiagge del promontorio pugliese a causa delle forti mareggiate nell'Adriatico in questi giorni. Sono ipotesi. Qualcosa deve aver disturbato il sensibilissimo «sonar» che traccia le rotte di questi splendidi, giganteschi animali (un maschio può misurare anche venti metri e raggiungere le 60 tonnellate, anche se nel Mediterraneo di solito non supera i diciotto), splendidi nuotatori: si possono immergere più a fondo di qualsiasi altro mammifero marino, fino a oltre tremila metri e per oltre tre ore, alla ricerca del loro cibo preferito, i calamari giganti che vivono in fondo all'oceano. A Capo Iale sono arrivati gli uomini della Capitaneria di porto, quelli della Protezione Civile e i veterinari dell'Asl: tutti hanno provato, senza riuscirci, a salvare i capodogli «arenati», ancora in vita ma evidentemente in agonia. Far loro riprendere il largo si è rivelato impossibile. Sono intervenuti anche Sandro Mazzariol, dell'Università di Padova - che lavora all'interno del Progetto della Banca Tessuti dei Mammiferi Marini - e Alessandro Bortolotto, responsabile nazionale del Centro Studi Cetacei. Gru e mezzi meccanici hanno lavorato a lungo per sollevare gli animali sulla spiaggia, forse qualche esemplare verrà trasportato all'università di Padova per essere studiato. Il Ministero dell'Ambiente, appresa la notizia, aveva allertato l'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e la Guardia costiera, che ha mandato lungo il litorale una motovedetta: l'imbarcazione sta pattugliando la zona per verificare se ci sono altri capodogli nelle agitate acque pugliesi. L'orizzonte, per questi cetacei, è ancora più tempestoso: Moby Dick era uno di loro, e Melville ne fece il simbolo del male; ma dopo arpioni esplosivi, eliche delle navi, inquinamento acustico di navi e sottomarini, devono affrontare un nemico ancora più insidioso.

ADN KRONOS
12 DICEMBRE 2009
 
Greenpeace: un fatto inusuale e drammatico
Spiaggiamento capodogli nel Gargano, l'esperto: "Forse per suoni in mare"
Roma, 12 dic. - (Adnkronos) - All'ADNKRONOS Giuseppe Notarbartolo di Sciara , presidente del Comitato Scientifico di Accobams, Accordo per la Conservazione dei Cetacei del Mar Nero, Mar Mediterraneo e Zona Atlantica Contigua
 
 
Roma - "Un evento come lo spiaggiamento dei sette capodogli ieri sulle coste del Gargano in Puglia deve considerarsi eccezionale. Fenomeni di questo tipo sono frequenti negli oceani ma sono un'assoluta rarita' nel Mediterraneo, basti pensare che l'ultimo nel nostro mare risale all'800, avvenuto sempre nell'Adriatico". Lo ha detto all'ADNKRONOS Giuseppe Notarbartolo di Sciara , presidente del Comitato Scientifico di Accobams, Accordo per la Conservazione dei Cetacei del Mar Nero, Mar Mediterraneo e Zona Atlantica Contigua.
"Questo - continua Notarbartolo di Sciara - ci porta a supporre che lo spiaggiamento per cause naturali sia improbabile, perche' in tal caso sarebbero piu' frequenti. La direzione nella quale ci stiamo rivolgendo e' che un evento come questo sia legato all'immissione in mare di suoni a grande intensita', causati o da esercitazioni navali o da prospezioni acustiche per la ricerca di giacimento di petrolio. Occorre pero' ora - aggiunge - aspettare i risultati delle autopsie da parte dell'Universita' di Padova e di Las Palmas per avere dei riscontri. Se cosi' fosse esistono leggi nel Mediterraneo e in Italia che proteggono questi animali e che quindi chi conduce queste attivita' deve rispettare". Lo spiaggiamento sull'Adriatico pugliese "e' un fatto inusuale e drammatico allo stesso tempo" per Greenpeace che e', sottolinea l'associazione ambientalista, "in stretto contatto con i tecnici intervenuti". "Riteniamo che in questo momento -spiega Giorgia Monti, della campagna Mare di Greenpeace- la cosa piu' opportuna sia lasciar lavorare gli operatori e i ricercatori affinche' vengano raccolti tutti i dati necessari. Greenpeace seguira' attentamente gli studi e le analisi che verranno fatte, e si assicurera' che chiarezza venga fatta sulle cause di questo drammatico evento"."Purtroppo -spiega Monti- in questi casi risulta sempre molto difficile riuscire a salvare gli animali, per quanto le cause siano ancora tutte da chiarire, in caso di spiaggiamenti massivi gli animali arrivano spesso sulla costa a causa di gravi danni al loro sistema di orientamento". Quindi, anche una volta riusciti a riportarli al largo, il rischio e' che le balene disorientate e in difficolta' si lascino nuovamente trascinare verso riva, come e' successo per gli ultimi due esemplari che sono stati ritrovati oggi."Purtroppo eventi del genere -sottolinea Greenpeace- non sorprendono se si pensa all'uso improprio che viene fatto dei nostri mari, dalla pesca eccessiva, all'inquinamento alle aree marine industriali con rigassificatori a mare e trivellazioni petrolifere". "Chi piange di fronte a questi eventi senza aver fatto nulla prima per proteggere questi animali e l'ambiente marino in cui vivono, -conclude Monti- e' complice della morte di queste balene. Noi continueremo a lavorare perche' questa brutta storia non cada nel buio tra poco e, una volta scoperte le cause, si sviluppino meccanismi veri di protezione".

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